martedì 1 settembre 2015

Greta Rosso



Greta Rosso nel progetto gialla di LietoColle e pordenonelegge
di Bonifacio Vincenzi




“Due strade – tracciate da molti anni di passione per la poesia – si incrociano e si uniscono in questa collana, per comporre le energie di più luoghi e diverse forme di comunicazione: LietoColle e pordenonelegge condividono lo scopo di scegliere, promuovere e diffondere l’opera di alcuni autori già conosciuti da chi segue la vicenda attuale della poesia, accompagnandoli nell’edizione di una loro prova significativa. LietoColle cura la proposta del libro nella sua forma canonica, mentre pordenonelegge cura la versione elettronica, con l’obiettivo di moltiplicare le occasioni di attenzione e di dialogo su quattro opere di poesia scelte, per ogni anno solare, tra le esperienze di rilievo di nuovi autori di interesse.”

Così Michelangelo Camelliti (LietoColle) e Gian Mario Villalta    (pordenonelegge) presentano ogni numero dell’ormai famosa collana gialla pordenonelegge.it. Passione che corona, connette, spiega ricapitolando, anno dopo anno, l’ineffabilità di una visione positiva e vincente, in un percorso che si ramifica a colpi di  nuove e vitali intuizioni.
Quattro opere ogni anno, quindi, di altrettanti autori che abbiano il dono della Poesia.
Autori come Greta Rosso, la cui  opera è  stata inserita nella prestigiosa collana della quale stiamo parlando.


Che cos’è che caratterizza un complesso sistema di eventi intempestivi? E che cos’è un amore al di fuori della legge?
Iniziare con delle domande. Non c’è modo migliore, credo, per apprestarci a entrare nel giallo di questo Manuale di insolubilità di Greta Rosso (LietoColle, 2015).  Domande che riconducono tutte, per dirla con Elémire Zolla, alla massima interrogazione che è questa: come fa l’essere ad emergere dal nulla?
Ecco l’ultimo e il primo enigma, che solo la poesia osa enunciare, partendo dall’insicura coscienza di chi scrive per arrivare ad una chiarezza intuitiva che spesso non è neppure l’autore a cogliere, ma l’appassionato lettore.

“La poesia è l’unico discorso – scrive  Zolla -  che comporti l’esperienza di un’estasi che offre in se stessa l’esempio di un silenzio che zampilla in parole, perciò è il giusto tramite per dire che la realtà nasce da ogni estasi che illumini la mente, conferendo significato e ordine a una psiche che nell’estasi fa tutt’uno con il cosmo. La poesia è ciò che la cosmogonia descrive: il silenzio che parla, il vuoto che genera il cosmo.”
Questo mi sembra il giusto preambolo per vivere, più che cercare di comprendere, la poesia di Greta Rosso. Ogni altra strada ci allontanerebbe da ciò che lei è e questo non la renderebbe certo infelice, perché, probabilmente, è esattamente ciò che  vuole…
mi somigliano le mie parole/ strette, dismorfofobiche/ nella mischia del mondo/ sempre in lizza per la distruzione/ nessuna fenice, magari compostaggio/ o un tocco di velata mancanza/ a farmi scrivere rifrazioni.”

Greta Rosso non pretende di rivelarsi nell’ambigua lettura che lasci ritornare nel buio di ciò che istintivamente cela, né la sostiene l’ambizione di risorgere dalle sue ceneri, ma il suo aprirsi a questa misteriosa intuizione che è la poesia, le fa in qualche modo comprendere che non è mai il senso a rappresentare l’essere, ma ciò che viene prima del senso, ciò che è vicino e ciò che è lontano, il reale e l’irreale, il sonno e la veglia, ovvero lo specchio del Nulla dove in ogni istante il Tutto si riflette…
Una conseguenza di tutto ciò, è quella di cercare di frantumare, trasformando in lievito l’idea della vita e del mondo, in una dissomiglianza che la porti a dissentire dalle presunte verità, per lasciarsi trascinare da una mobilità tra l’esistere e lo sparire, come rito quotidiano, questa volta consapevole.



Chiaramente c’è tutto questo e l’esatto suo contrario ed è come un grido inascoltato, soprattutto da se stessa, il suo volere che sbatte come onda sugli scogli del mondo visibile …

volevo un viso magro/ da trasporre nell’aria già colma/ di visi e corrugamenti/ volevo che non crescesse nulla/ del mio corpo, che si attenuassero/ le forme, che stazionasse infinitamente/ la quantità di spazio a me assegnata./ volevo un viso per/ la bambina che non era mai bambina,/ una forma di linea per la iena/ che non ero, volevo annientare,/ allucinare, devastare le curve del/ tempo, volevo fermarmi nell’istante,/ epifanica, farmi statua.”

Ma la fermata in sé presuppone la fine di questa mobilità tra l’esistere e lo sparire, presuppone la morte.
Perciò, nonostante gli sforzi, anche lei è costretta a questo procedere per strati,  che ha un suo senso in questa condanna che chiamiamo vita.

Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina del libro, 2. Colpo d’occhio sul pubblico in una manifestazione di pordenonelegge, 3. Foto di Greta Rosso

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