Griselda
Doka, una poetessa migrante
di Bonifacio Vincenzi
"Il
titolo dell'opera, Agueil, - scrive Giuseppe Aletti nella prefazione a
questo volume collettivo di poesie - implica un viatico romantico, simbolico ed
evocativo: il nome di un vento che trasporti questi componimenti in fuga, verso
altri territori, altre culture, lettori, autori. All'interno di Agueil, edito da Aletti Editore, (chiamato anche Aiguolas, è un vento
stagionale, presente soprattutto in primavera, che soffia sulla Cévennes
meridionale, accompagna o precede la pioggia o la neve) si susseguono, in
ordine alfabetico: Samuele Collovà con Ritagli
di luce ed ombre; Giovanni De Gattis con Le parole dell'essere; Griselda Doka con Soglie; Anna Iavarone con Ora
non voglio saperlo; Lucia Scavo con Cuore
nomade; Martina Sergi con Come
diamanti."
Partendo da
questa puntualizzazione quanto mai opportuna per dare senso a un titolo tanto
affascinante quanto, a primo acchito, oscuro, è importante chiarire che io mi
occuperò, in questa breve lettura critica, soltanto di un’opera inserita nel
volume e, precisamente, della breve silloge di Griselda Doka, Soglie.
Ma perché ho
scelto proprio le poesie della poetessa albanese Griselda Doka? C’entra sicuramente
la conoscenza personale, ma non è solo questo che mi ha spinto ad intraprendere
questo viaggio nel suo particolare mondo poetico ed umano. Gli interessi scientifici di Griselda Doka si
basano sulla lingua e la letteratura albanese, sulle scienze traduttologiche e
sulla letteratura della migrazione, con un focus particolare sugli autori di
origine albanese. Ha ideato e portato avanti per due edizioni (la III in corso)
il Concorso Internazionale della Poesia della Migrazione “Attraverso l’Italia”,
patrocinato dal Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione dell’Università
della Calabria. E da quest’anno supportato anche dall’Istituto culturale della
Calabria “Il Musagete” e dal suo presidente Oreste Bellini.
Sul numero
uno di Gennaio/Aprile 2014 della rivista culturale “Confluenze” c’è un saggio
di Griselda Doka che si intitola Attraversando
l’Italia in poesia –Esperienze di poesia migrante. Questo saggio è
fondamentale per comprendere anche la sua poesia.
Perché a un certo punto lo scrittore migrante sceglie di
esprimersi in una lingua che non è quella madre? Mi ha colpito molto questa domanda che Griselda Doka pone ad un certo punto del saggio. La risposta non è semplice. Negli
studi sulle migrazioni vi è un dibattito ancora aperto con diverse scuole di
pensiero, tutte molto interessanti, ma che forse trascurano un elemento
fondamentale. Ogni persona è un mondo
e questo mondo solo la poesia ha il potere di svelarlo. C’è un testo molto
bello di Edmond Jabès: Il libro della
condivisione. È il libro dell’incontro, del dialogo, dell’affermazione
della responsabilità nei confronti degli altri. “Attraverso l’altro, -
scrive Jabès - abbiamo a che
fare solo con noi stessi. A questo patto la condivisione esiste; e
perciò alla radice essa è illusoria. L’altro ci restituisce a noi stessi. E
viceversa.” Come a dire, riportando tutto questo alla scelta dello scrittore
migrante: io scrivo, mi esprimo, attraverso una lingua che non è la mia per donarmi
senza condizioni all’altro, al diverso
da me, affinché lui possa restituirmi a me stesso. E tutto questo perché io
accetti ed affronti il mio attuale, insostenibile disagio …
“Temo di non trovare salvezza/ora che non ho radici/la mia
collina sulla valle/è solo una fiaba/ raccontata ai miei figli/in un’altra
lingua/temo di diventare/un granello d’oblìo/sale sulla sabbia/estranea come
quando rifiuto l’appartenenza/e di essere riconosciuta/soltanto nelle tue
parole (…)”
Eccolo il
disagio. Protagonista assoluto. Non è la nuova lingua che può allontanarlo. È
lì nella parola che forgia i suoi legami di silenzio nel silenzio vivo e abissale
di un’appartenenza che rivendica il suo pezzo di anima vagante.
È quasi un
grido questo di Griselda e risuona in quella verità che la poesia non riuscirà
mai a negare …
“(…) sulla
soglia/della mia porta/orme fresche/rintracciano la parola (…) nei sogni/la mia
voce/incredula si appanna//sulla soglia/del mio risveglio/occhi nuovi/imboccano
l’attesa (…)
Non saranno
le orme fresche né quelle spazzate via dal vento di Aiugolas a far ritrovare o
perdere la strada del cuore. Tutto è davanti a lei fermo: un richiamo sordo che
le gravita attorno. Non può scacciarlo perché non vuole né lo vorrà mai. Lei è
un pezzo di anima vagante, viva da un’altra parte. Ma è sempre la grande anima
del luogo da dove lei viene che sta sognando,
attraverso lei, di vivere un’esistenza
straniera ...
“ (…) Sono quel breve tragitto/che va dalla
torre al mare/il tempo dello scorrere del sangue/che sale/dalla gola sulla
testa/in apnea/nessuna voce/nessun fruscìo/nelle orecchie/la legge del nulla/e
poi il mesto ritorno (…)”
Ha strane
leggi il Nulla che gli permettono di
aprirsi – direbbe Blanchot - “all’immediato
e il lontano, a ciò che è più reale di ogni cosa reale che si dimentica in ogni
cosa, il legame che non si può legare e attraverso cui tutto, il tutto, si
lega.” Ma sono leggi in cui l’essere tiene in scacco il linguaggio e viceversa.
A proposito dell’essere, chiamando ancora in causa Jabès, “ altro non sarebbe
che le sue possibilità di essere mediante il linguaggio, e il linguaggio, una
possibilità di ottenere uno statuto d’esistenza attraverso l’essere.” Ed è in
questa sottile complicità che si gioca
gran parte della vita.
Non c’è
libertà nella poesia di Griselda, né vi sono catene in questa parola densa,
racchiusa nella propria inquietudine, che richiama, interroga e trascina avanti
tutto il peso del proprio passato. C’è altro, una vulnerabilità che si
offre alla scoperta, anche con forza, determinazione, ma che non smetterà mai
di risarcire il suo debito con la propria appartenenza.
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