mercoledì 12 agosto 2015

Antonella Rizzo






Antonella Rizzo:
Cleopatra, Divina donna d’Inferno
di Bonifacio Vincenzi



“Antonella Rizzo sceglie sempre protagoniste femminili al confine tra storia e mito. Basti ricordare i titoli delle sue precedenti raccolte: Il sonno di Salomè e Confessioni di una giovane eretica. È come se la sua poesia per dispiegare tutta la sua potenza, abbia bisogno di partire da lontano, da molto lontano. Interprete della migliore tradizione orfica, la Rizzo testimonia, anche in questo suo ultimo volume, che alla tavola imbandita della letteratura il posto per una poesia colta, visionaria, intessuta di umori e di valori ancestrali, è sempre quello centrale, il primo, il più importante.”

Questo è quello che afferma Claudio Giovanardi nella prefazione a questo prosimetro di Antonella Rizzo, Cleopatra – Divina donna d’inferno ( Fusibilialibri) e nei fatti che caratterizzano il percorso creativo di questa scrittrice romana di origine calabrese, dobbiamo dire, che ha perfettamente ragione.

La scelta poi della Rizzo di incanalare questo evento creativo in un genere letterario così raro è molto sottile ed è da ascrivere  probabilmente al tentativo di ricreare le condizioni espressive in voga in quel particolare periodo storico. Parliamo, per intenderci, del periodo tolemaico e del breve tempo in cui la regina egizia visse. Cleopatra, infatti, nasce ad Alessandria d’Egitto  nel 69 a.c. e qui poi morirà il 30 a.c.

Per quanto ne sappiamo, la nascita del prosimetro come genere letterario, che alterna in modo equilibrato prosa e poesia, è da collocare proprio in questo particolare periodo storico, e, precisamente,  nell’età cesariana.


Premesso ciò, bisogna dire che nell’immagginario collettivo la figura di Cleopatra non è quella tratteggiata nei libri di storia ma quella raccontata dalla letteratura e dai kolossal cinematografici. Shakespeare, Alfieri, Bernard Shaw, solo per citare qualche nome,  hanno scritto pagine di teatro memorabili su di lei senza contare che esiste una filmografia sul personaggio che parte dal 1899 che arriva fino ai giorni nostri e che sicuramente è destinata a continuare anche in futuro. Questo per dire che tutto quello che si poteva scrivere  di vero e di inventato sul personaggio è stato fatto ed ogni nuovo lavoro fatica e anche molto a mantenere caratteristiche vagamente originali.

La domanda da porsi dunque non può essere che questa: la Cleopatra di Antonella Rizzo che cosa presenta di nuovo?

La Rizzo, partendo da una citazione tratta dall’Inferno di Dante (“peccator carnali, / che la ragione sommettono al talento”), sente poi il bisogno di spiegare, in qualche modo, ai suoi lettori le ragioni della sua scelta:

Alla sua straordinaria complessità si rivolge la mia spontanea lettura del suo vissuto, a quella dicotomia intelletto-cuore di cui si tenta invano la separazione come garanzia di controllo delle azioni umane; augurandomi che si esaurisca l’immagine di una Donna protagonista minore di un morboso connubio sesso e potere.

A questo connubio bisogna aggiungere sicuramente la morte che nella Roma caput mundi raramente, almeno per quelli che direttamente o indirettamente rappresentavano il potere, avveniva per cause naturali. Complotti, assassinii, suicidii  in quel periodo non davano tregua. Un vero e proprio mattatoio ad orario continuato.

È chiaro che il destino di Cleopatra per il suo passionale rapporto prima con Cesare, poi con Marco Antonio, non poteva non intrecciarsi con le vicende della Roma caput mundi, con il finale che tutti conosciamo.


… Il mio rapporto con Cesare aveva del soprannaturale e del destinato, perché mai essere umano aveva rifiutato il mio regale ratto dell’anima e si era imposto una severità, una forza da risultare impenetrabile alle malie. Era lui che aveva seviziato il mio spirito indomabile con fuoco e flagelli. Avrebbe pagato con la vita il talamo di miele che gli preparavo al cospetto di Horus benevolo. I suoi Dei guardavano con sospetto la nostra unione e maledicevano il nostro palazzo con improvvisi venti bollenti che asciugavano la fertilità della terra e impaurivano gravide e vecchie. Chiunque sarebbe venuto dopo avrebbe scontato la maledizione degli Dei adirati e a nulla sarebbero valsi i bracieri arsi in loro onore e le bestie sacrificate. Nessun sangue placava la loro ira. Solo la morte ci avrebbe ricongiunto con la loro benevolenza.”

Una Cleopatra, questa, che parla attraverso la voce della Rizzo, già conscia del suo destino, viva nella passione del suo rapporto d’amore con Cesare, che appare qui sotto una luce nuova, più vicino, dal punto di vista di intensità, a quello con Marco Antonio tanto esaltato dalla Letteratura e dal Cinema.


Un testo davvero importante questo di Antonella Rizzo, un prosimetro da leggere o magari anche da ascoltare, seduti sulla comoda poltrona di un teatro, luogo sicuramente congeniale per accogliere  i protagonisti di questa vicenda rivissuta sulla pagina da una scrittrice sicuramente di talento.

martedì 11 agosto 2015

Miriam Bruni







Miriam Bruni:
un respiro d’amore e di Poesia
di Bonifacio Vincenzi

“Chi odia/ la pena/ non ami”, ammonisce Miriam Bruni nella silloge Cristalli, pubblicata da BookSprint Edizioni. Ed è un’affermazione saggia la sua perché il limite dell’amore è in questo non riuscirsi a fondere l’uno nell’altra. Al massimo, come scrive Jabès, un amore lo si può condividere perché, “vivere in due la medesima vita non è che vivere nella sua pienezza la nostra parte d’amore  e di vita. Attraverso l’altro, abbiamo a che fare solo con noi stessi. A questo patto la condivisione esiste; e perciò alla radice essa è illusoria. L’altro ci restituisce a noi stessi. E viceversa.”
Da qui il percorso diventa arduo … “Alta/procedo/tra stanchezze e slanci// Tra sterpi, rovi/e limpidi tramonti …”


E tutto questo per continuare a indagare sull’amore, per continuare a credere che il movimento delle emozioni, presto o tardi,  possa approdare in un equilibrio di tempi consolidati, superando definitivamente i nuovi dubbi e le nuove illusioni.

Ma l’unico approdo sicuro è nella Poesia. Silenziosa e solidale la poesia porta in dono la pace ed attimi di vera e autentica gioia.

Miriam Bruni sa che c’è magia nella sua voce che canta, ma c’è anche una chiarezza intuitiva che  che le fa dire, dal profondo mistero del suo essere donna, che quella Luce che ogni giorno sposa il Mondo, in modo così naturale e disinteressato, sarebbe un buon esempio da seguire per superare gli insignificanti conflitti che continuamente condizionano i rapporti umani in amore e  al di fuori dell’amore ...

Il mio problema/è non avere/confini//Sentire il mondo/allacciato
ai miei fianchi//Le cascate/ricolme/delle mie risate//E i deserti/ angustiati/ dal mio pianto.”


Cascate e deserto, risate e pianto in questa danza di contrari in cui le energie vitali trovano e dispensano gioia solo nel cuore della Poesia.

sabato 8 agosto 2015

Giuseppe Napolitano







Giuseppe Napolitano:
vivere una vita … “a repentaglio”
di Bonifacio Vincenzi



“Ora so che sapevo. La mia paura di leggere Nietzsche era forse quella di scoprirmi vicino un insopportabile vicino. Perché mi sono sempre sentito un po' super, un po' più su di tanti altri; proprio perché non credo di sapere molto e vedo intorno tanta sfacciata sicurezza, e al tempo stesso, però, non so fare a me­no dell'altro. Mi è comunque insop­portabile pensare di essere "nel deserto" fra la gente.”

Dei venti brani che compongono l’ouverture di A repentaglio, la recente raccolta di poesia di Giuseppe Napolitano, pubblicata dalla Casa Editrice L’Arcolaio, sicuramente questo è quello, a mio avviso, che più lo rappresenta.

Il mistero e il miracolo della scrittura è in questa sincerità di fondo che si riversa sulla pagina manifestando, attraverso questi segni che parlano, tutto ciò che colui che scrive è, o, almeno, ciò che la vita gli ha consentito di essere.

Un po’ come scriveva Edmond Jabès:” io esisto perché sono stato plasmato dal meglio e dal peggio, da tutto quello che ho amato o rifuggito; da tutto quello che ho acquisito o perduto, secondo dopo secondo, dallo scorrere lento della vita.”

Foglio bianco senza risposta/ lo specchio ci dice ogni giorno/ se abbiamo o no la faccia/pronta per l'uso pronta a testimone/di verità indicibili altrimenti –//passa per mille frammenti la vita/e si frange in parole – lo specchio/ raccoglie e compone quel dire/che a fatica cercava la via//per esprimersi ed essere voce/ che non ha più domande da fare:/la poesia è risposta di vita.” (Trittico dello specchio)


Ma i poeti, come giustamente scrive Ida Di Ianni nella postfazione, “prima che specchio di se stessi, sono quello della realtà di cui assorbono rumori ed umori …” Quella realtà sempre più liquida che scorre velocemente …

“ (…)È vero siamo noi determinanti /nello scorrere – se anche rallentiamo/ il ritmo – del tempo che viviamo//Il tempo è la misura dell'esistere/non altrimenti calcolabile/– il modo/ di godere o sciupare il nostro tempo// C'è quello che sentiamo nostro quando/ ce ne accorgiamo e appena sta passando/ mentre aspettiamo un incontro di fortuna//C'è un tempo grande che tutti ci contiene/ ed è la somma semplice dei tempi/di tutti che viviamo/ – e andiamo avanti.” (Misura)

Forse, alla fine, se per Napolitano la certezza nella vita è un bisogno per acquietare inquietudini, paure e dubbi mai risolti, l’azzardo, al contrario, non aggira mai la verità, ma l’affronta, rendendo le relative conseguenze, frutto della propria azione e, di conseguenza, il prezzo eventualmente da pagare, rientra comunque in una scelta volontaria e mai passiva.






sabato 1 agosto 2015

Giacinta Caruso





Giacinta Caruso:
misteri e delitti nella Francia della fine del 1800 
di Bonifacio Vincenzi


Dimmi che libri leggi e ti dirò chi sei. Pare proprio che dalla personale biblioteca di una persona si possa risalire al suo carattere. E che i libri che  egli raccoglie e conserva siano l’intima confessione di ciò che ama e di ciò che è. Ma è proprio così? Vogliamo fare un test sulla mia personale biblioteca? Io  sono cresciuto  con pane, spada,  miniera e delitti. Mi spiego. Gli autori che sono presenti con più opere nel mio percorso di lettura sono Alexandre Dumas ( parlo del padre naturalmente, il figlio, nonostante La signora delle camelie, con un padre così famoso, aveva ben poche speranze di “esistere”), Archibald Joseph Cronin e Georges Simenon. Cappa e spada nei romanzi di Dumas, le miniere di carbone in quelli di Cronin e almeno un delitto in ogni romanzo di Simenon con o senza Maigret. Dei tre, a parte Simenon ( che gode ancora di una certa stima nell’ambiente intellettuale), gli altri due, per uno come me che ha diretto due riviste di letteratura italiana, non sono proprio autori di cui andare fieri. Perché? Non saprei dirlo anche perché questa questione, a mio avviso, non ha ragione di esistere. Per me, che poi ho scoperto  autori geniali come Fëdor Dostoevskij, Thomas Mann, Marcel Proust, Italo Calvino, tanto per fare dei nomi, esistono due tipi di lettura: una che definirei, in discesa libera, l’altra, in salita. E, spesso, l’una non pregiudica l’altra. Mi spiego. Considero letture in discesa libera  i libri di quegli autori che hanno la capacità di regalare a propri lettori momenti di vero e piacevole relax, attraverso una scrittura lineare, sciolta, veloce, avvincente. I tre moschettieri di Alexandre Dumas sono un tipico esempio di lettura in discesa libera


Sono più di settecento pagine che l’appassionato lettore letteralmente si divora. Quelli, invece, che amano le letture in salita, sono quei lettori che leggono con profitto. E per leggere con profitto – come direbbe G. S. Marden – occorre avere bene in mente tre cose: intenzione, attenzione e ritentiva. Caratteristiche tipiche, queste, che sono fondamentale per ogni scalatore deciso a conquistare la vetta più alta di una montagna. Personalmente mi sono sentito un po’ come Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, (gli scalatori, per intenderci, che hanno conquistato per primi nel 1954 il K2) quando sono riuscito a espugnare la fine del romanzo di James Joyce Ulysses, per me uno dei libri più ostici di una lettura cosiddetta  in salita.
Ora, tutto questo preambolo, cosa c’entra con La camera ardente di Giacinta Caruso? C’entra, e anche molto.
In una intervista Giacinta Caruso ha dichiarato:
“Quando mi chiedono perché hai scritto La Camera Ardente posso solo rispondere che era inevitabile. Appena imparato a leggere, a Natale mi regalarono un’edizione per bambini de I tre moschettieri. Lo iniziai a gennaio dell’anno successivo. Fu amore a prima vista. Ho un ricordo vivissimo di me seduta accanto al cammino che mi perdo dietro le avventure di D’Artagnan e Milady.”
Ecco dunque l’antefatto genetico di questo avvincente romanzo di Giacinta Caruso, edito recentemente da Panesi Edizioni. E basta addentrarsi nello scenario disegnato abilmente dall’autrice già delle prime pagine. per rendersi conto della straordinaria vicinanza del romanzo della Caruso con  il romanzo di Dumas uscito a puntate su “Le Siécle” nel 1844.
Prendiamo l’ambientazione storica del romanzo di Dumas. Parigi 1625. Il giovane guascogne Charles d’Artagnan arriva in città per cercare di entrare nei moschettieri di re Luigi XIII.



Spostiamoci ora nel romanzo della Caruso. L’ambientazione storica è quasi uguale. Parigi 1680. Lady Edwina ha appena sposato il marchese di Peyrac, un incorreggibile libertino, sempre alla ricerca di piaceri proibiti. La nobildonna, dopo esser rimasta vedova, è stata costretta alle nuove nozze dal cugino, agente in Francia del duca di Buckingham. Poi una donna viene assassinata. Il delitto sembra rimanere irrisolto. Da qui parte la vicenda e ci rendiamo subito conto di come la scrittura della Caruso sia avvincente. Come il grande maestro Dumas la Caruso mette in scena intrighi, colpi di scena, suspence, con in più una discreta dose di erotismo nel ritmo serrato di una narrazione che si apre ad una lettura decisamente in discesa libera. C’è una differenza, però, ed è che la Caruso a scrivere questo romanzo è da sola.  Dumas, invece,  è certo ormai che da solo a scrivere gran parte dei suoi libri non lo è stato mai. D’altronde sarebbe umanamente impossibile per chiunque scrivere in una trentina d’anni circa seicento libri di centinaia e centinaia di pagine, senza l’aiuto di un buon numero di “collaboratori”.
Avviandomi alla conclusione, devo dire che il personaggio di questo romanzo della Caruso che ho amato di più è il Commissario Savarin, un uomo paziente e di buon carattere. Mi ha colpito tantissimo l’idea che la scrittrice ha del suo personaggio:
“Se penso a Savarin, - avverte la Caruso -  nella mia mente compare il Gérard Depardieu di qualche anno fa, quando non aveva ancora assunto l’aspetto imponente di oggi. Insomma, vedo un uomo di mezz’età dai fluenti capelli rossi, di carattere schivo e malinconico che ha una passione per l’alchimia e nutre un amore senza speranza per la cugina, che gli ha preferito il velo.”
È  bene non aggiungere altro. Tutto il resto, chi lo vorrà, potrà scoprirlo attraverso la lettura di questo avvincente romanzo storico di Giacinta Caruso.

Immagini in ordine di apparizione: copertina del libro, Alexandre Dumas,  tipica immagine dei Tre moschettieri.