venerdì 25 marzo 2016

Stefano Menga




Angelo Petracca, cronaca di un atto d’amore
di Bonifacio Vincenzi

Stefano Menga è conosciuto soprattutto per essere l’ideatore del noto blog“Cronache e Cronachette”, ma è anche autore di numerose pubblicazioni.  Ricordiamo:
Annuario 2011/2012 – Cronache e cronachette di Ceglie Messapica ( Tiemme- Manduria, 2013); Monsignor Giovanni Turrisi - Cenni storici e fotografici sulla sua vita e sulla Chiesa di San Lorenzo da Brindisi  (Tiemme- Manduria, 2013); Annuario 2013 Cronache e cronachette di Ceglie Messapica ( Tiemme- Manduria, 2014).

Ora Stefano Menga si presenta ai suoi lettori con questo suo nuovo lavoro, Cronaca di un atto d’amore( Tiemme- Manduria, 2015).

Il libro si apre con una dedica speciale: a tutti i Carabinieri Caduti nell’adempimento del proprio Dovere. E parla del Carabiniere Angelo Petracca che nel tentativo di salvare un commilitone venne ucciso a Ceglie Messapica, nel corso di una rapina,il 22 Gennaio 1990.

Presentato sotto forma di cronaca il libro è arricchito da immagini, foto, articoli di giornali e altri materiali che l’autore usa per ricostruire nei minimi particolari la vicenda del carabiniere caduto.

Tutto questo, però, viene spiegato molto bene da Augusto Conte nell’introduzione del libro stesso:
“L’opera – scrive Conte - presenta, e rappresenta, un fatto di “cronaca” che la tragicità dell’evento descritto, l’impressione suscitata e che tuttora permane nella nostra collettività, la legalità violata, la risonanza nazionale,il sentimento struggente di una giovane vita spezzata, la intitolazione al nome della vittima di Comandi, Stazioni, Corsi di Carabinieri, la passione della rievocazione nell’Autore, lo spessore morale dell’iniziativa editoriale, hanno trasformato in “storia”.
La storia, e le storie, indipendentemente dalle loro dimensioni, sono fatte di grandi e nobili eventi, ma anche di atti violenti e ignobili; la forza e la dignità dell’animo umano si manifestano trasportando e trasformando anche i fatti spietati e disumani in un atto di amore: questo è il senso più profondo del sacrificio del giovane Carabiniere, colto e trasfuso nell’opera e nello spirito che ha animato l’Autore.
La formazione discorsiva del ricordo della cronaca si fa storia e si intreccia e confonde tra la dimensione religiosa, di accettazione dei misteriosi disegni soprannaturali imperscrutabili, e la dimensione laica del rifiuto dell’atto di violenza e della esigenza di attuazione della vocazione umana alla giustizia.
E il ricordare costituisce un valore che permette e aiuta a mantenere viva la memoria storica per custodirla e tramandarla come monito alle future generazioni, per consentire che il passato non si ripeta allo stesso modo.”

Un libro sicuramente prezioso, questo di Menga, che merita di essere letto e custodito perché, per come si sono svolti i fatti, il sacrificio di Angelo Petracca fu un vero e proprio atto d’amore che la  comunità di Ceglie Messapica non può e non deve dimenticare.
E questo libro, di sicuro, è un buon aiuto per tener vivo il Ricordo.



sabato 19 marzo 2016

Lucia Gaddo Zanovello







Ricordando l’unicità perduta dei ragazzi del Bataclan
di Lucia Gaddo Zanovello

C’è in ogni discorso umano un segno di mistero che distingue una creatura dall’altra, si stabilisce fra le persone una comunicazione impressa in modo intimo e insondabile, puramente intuitivo. La poesia ben testimonia di tale delicata ma infrangibile forma di dialogo, come accade in questa nuova silloge di Bonifacio Vincenzi. Sono esistenze, quelle dei giovani qui ricordati e celebrati, che si trovarono a essere vittime inconsapevoli di un manipolo di fanatici spietati al Bataclan di Parigi nel novembre dello scorso anno e storie individuali, delle quali in qualche modo ci si deve fare custodi, è necessario per loro, ma anche per chi resta. Bonifacio Vincenzi, che sente in se stesso la costernazione per tale sciagura, al pari di Parigi, delle famiglie coinvolte e del mondo intero, ne è pienamente cosciente.

Perché se della morte non ci si può liberare, ricordare può aiutare ad elaborare il lutto e forse è possibile trasformarlo, come la morte, in una nuova nascita.
Questo genere di memoria si chiama amore, e l’amore rimane, anche in assenza dell'altro, perché la sua presenza non scompare con il suo non comparire più in questa dimensione.
Si deve continuare a parlare con coloro che hanno cessato di vivere, per non rischiare di lasciarli svanire e dunque tacere per sempre; se ci separassimo definitivamente da chi ci è caro, rischieremmo di farlo morire di nuovo e se è vero, come è vero, che la morte degli altri ci riguarda sempre, la morte dei ragazzi ci coinvolge e ci importa anche di più.

“Di quei ragazzi rimane / l’impazienza di una giovinezza / mai scomparsa.// Per loro e per tutti gli anni / che chiederanno conto al tempo / sarà primavera in novembre”, asserisce e presagisce l’Autore.

Ci sono sofferenze di cui non riusciamo ad attutire, nel tempo, gli effetti e quando gli altri muoiono, chi resta deve decidere il senso della propria vita.
Quasi tutto quello che ci sta intorno rimane fermo dove si trova, senza che noi  si possa averne totale coscienza e controllo, tuttavia ciò che nel presente accade dipende da questo indugiare di ogni cosa nell’impotere e nell’insufficienza propria dell’umano nei confronti del mondo. Non è nostra facoltà poter cambiare la maggior parte del reale e ogni morte, compresa la nostra, è e sarà una partenza individuale e solitaria verso l’ignoto; per un attimo, forse, si sentirà disperatamente abbandonato, anche chi è dotato della più solida delle fedi.   La dimensione della sofferenza non è misurabile, “Sa di vita che se ne va / la muta sensazione / che sottrae colore che cola / dal dipinto delle ore”, è la metafora dell’attimo di smarrimento che coglie il poeta e ancora “cadde la vita innocente per le colpe del mondo / non più nomi, storie e vissuto / ma un lampeggiare discontinuo / dalle caverne dell’odio”, egli ricorda, tornando agli interminabili minuti della sparatoria.

In questo caso la morte si è presentata con la maschera inespressiva dell’apatica indifferenza di chi non sa distinguere il bene dal male, per l’incontinenza diabolica di invasati annientatori, demoniaca ferocia attuata da vigliacchi verso tanti fra i propri simili (ma possono questi umani essere definiti ‘simili’?) così inavvertiti e indifesi.
     


Vita e morte hanno i loro ritmi misteriosi, le loro ragioni, ma “Altra cosa, invece, è andare, / in tempo di pace, ad un concerto / ed essere ricordati come vittime di guerra.”

È da trascrivere per intero il brano di pag. 26: “Le vittime sono sempre buone / e se ne vanno spesso senza salutare./ Certo, a saperlo avrebbero dato un bacio / ai loro bambini, magari anche detto ti amo per / l’ultima volta a qualcuno. Ma sono / vittime, si svegliano al mattino e non sanno / neppure che quello è il loro ultimo risveglio. / Le foto delle vittime sono sempre le più belle, / c’è una liturgia a cui i loro cari tengono molto,/ mostrano sempre le loro foto dei momenti felici, / non vogliono che si sappia in giro che anche loro / hanno pianto, che anche loro sono stati qualche volta / odiosi, sono vittime ormai, non vedranno più albe / né tramonti, non festeggeranno più nulla. // La morte è come il fuoco, purifica tutto,/ strappa alla vita e, in cambio, riempie l’assenza / di momenti felici.”
    
Quando la morte è intimamente legata all'amore, questo non si estingue con la morte: “Vivranno / nell’eterno presente / del grande cuore /della città del mondo.”

E ancora, per intero, citerei il brano di pag. 32:   “Caddero / sotto il peso dei loro corpi.// Non tremò la terra /né il cordoglio / del mondo intero / riuscì a varcare / i confini di quell’orrore.// Solo un pensiero innocente / di bambino / adagiò la loro anima / tra le stelle.” E più avanti osserva il Poeta:   “Altri calendari segneranno / questo giorno, si sveglieranno / commozioni, rimorsi // e nella notte un’ombra di luna / coprirà la città e i suoi morti.”
   
Solo il ricordo opera il miracolo del persistere di questo amore, impedendo che alle creature passate di là  venga rimosso ogni aggancio col nostro presente; dona eternità il ricordo, questa è l’unica grazia concessa agli uomini.     E a proposito di Marie Lausch, che “lasciò al mondo la luce eterna di un sorriso”, precisa l’Autore : “Credono di averti uccisa / non sanno dell’altra vita / non sanno che vivi /nel sogno dei bambini.”… “Non invecchierai mai / vivrai giovane e sorridente / negli occhi del mondo// un unico eterno amore / e la certezza di essere vissuta / senza tradire i sogni.”… “In qualche punto del silenzio / lontano da qui / qualcosa di te si muove.// Sei nell’ombra della pioggia / che non bagna.// Chi ti cerca sono le stelle cadenti / dei tuoi desideri, chi ti cerca è la strada / dove sei passata, le canzoni che nel cuore / hai cantato…”.

Se è vero che il ricordo gradatamente aiuta a raggiungere il fondamento e il sostegno di ciò che siamo, si deve essere anche fermamente consapevoli del bisogno assoluto di Storia che c'è in ciascuno di noi, mentre il fanatismo contemporaneo cerca di distruggere questo bisogno, proprio per distruggere l'uomo in sé.

“Loro sono oltre, noi da questa / parte a inseguire giorni sempre / uguali, a credere che il mondo / sia ancora capace di separare / il bene dal male. Ma è figlio / di tragedie dimenticate altrove / l’odio che esplode nelle nostre / vite. E se l’amore è solo una parola / usata male allora nessuno potrà salvarci / dalle nostre colpe addormentate.// Sappiamo tutto di voi, il passato / è un libro sfogliato da mani inquiete…”.    Sono parole che invitano, mentre “rimaniamo fermi…a risvegliare sogni che appartennero ad altri”, a ripercorrere avanti e indietro, ininterrottamente, i libri di Storia, insieme ai nostri privati compendi, come fossero veri e propri prontuari per ogni esistenza.

“Siamo ciò che la vita ci consente di essere / e abiteremo tutti nella stessa assenza” asserisce, ben consapevole, il Nostro, ma il suo libro ottiene davvero di  salvare qualche goccia, qualche scintilla di speranza, che ci consenta di vivere nonostante tutto, sia pure nell’angoscia, nell’incertezza, nell’inquietudine del cuore e nella nostalgia di un passato che non c’è più.  Solo così il tempo offeso dello sdegno, del risentimento e dell’offesa, che è lo stesso del rimpianto e della nostalgia, ancorato al passato, può riconciliarsi col presente.
   
Un libro che ‘fa del bene’, se si lascia che nel nostro cuore risuonino le voci delle vittime degli attentati del novembre del 2015 a Parigi, per non permettere mai che sia dimenticata la loro unicità perduta.


venerdì 29 gennaio 2016

Pietro Berra - Francesco Osti




Pietro Berra e Francesco Osti:
due poeti e La città visibile
di Bonifacio Vincenzi


LietoColle presenta ai suoi lettori una nuova collana che accoglierà sempre due poeti alla volta per la creazione di un libro-cartolina legato all’immagine e alla poesia.
Le cartoline, volendo,  possono essere staccate, affrancate e spedite, magari anche entrando nei circuiti creativi della Mail Art.

"La Mail Art è un tipo di forma artistica che ha l’obiettivo di condividere le elaborazioni su un argomento attraverso l’utilizzo della cartolina. È un veicolo culturale che stimola la produzione artistica delle persone, sviluppa idee e gusto, e porta l’attenzione su temi di ampio interesse."

Il tema scelto per questa prima uscita è quello de La città visibile.

“Due poeti nati negli Settanta, Pietro Berra e Francesco Osti, rileggono il cambiamento dell’Italia attraverso 30 cartoline simboliche, cui si sono ispirati per scrivere altrettante poesie. Osti ha scelto il periodo del boom economico: l’epoca dell’emigrazione dal Sud al Nord e di
palazzoni, che oggi non rispondono più al gusto estetico medio, mentre allora venivano riportati sulle cartoline come segno di progresso. Il poeta si è lasciato suggestionare da queste immagini e le ha passate attraverso la lente della sua esperienza e sensibilità. Berra ha optato per un periodo più ampio, dalla Belle Époque agli anni Ottanta del Novecento, circoscritto a un microcosmo, Brunate, villaggio di contadini trasformato in piccola Ville Lumière con il sudore degli operai (effigiati sulle cartoline, come quelli che costruivano i grattacieli in America) fino a quando è tramontata la Festa del narciso e “i narcisisi sono tornati uomini”. Le pagine del libro si possono staccare e spedire: così il lettore diventa parte della performance poetica.”

Molte sono le città coinvolte: Trieste, Lecco, Piacenza, Sondrio,  Mantova, Brunate, Morbegno, e altre ancora.
Immagini e poesia, dunque. Sguardo e anima per un incontro indimenticabile.

Qualche notizia sugli autori:


Pietro Berra, è nato e vive a Como. Giornalista alle pagine culturali del quotidiano “La Provincia” e promotore di rassegne letterarie e cinematografiche, ha pubblicato una dozzina di libri, tra poesia, narrativa e saggistica. Cinque le raccolte di versi: Un giorno come l’ultimo. In viaggio per le strade di Como e della mente(Dialogo, 1997), Poesie di lago di mare (LietoColle, 2004), Poesie politiche (Luca Pensa Editore, 2006), Notizie sulla famiglia (Stampa, 2009) e Terra tra due fari (piccolo viaggio in Italia) (LietoColle, 2011).

Delle sue poesie inserite nel testo ci piace ricordare Proprietà privata con vista legata ad una vecchia cartolina:  Brunate – Dal Grand Hotel Milan: “I cani marcano il territorio/ con il piscio, i ricchi con le ville./Cancellate di ferro imprigionano/ il panorama dove Giuditta Pasta/ issò il tricolore nell’861./ Il Grand Hotel Brunate è sfiorito/ con l’Epoca Bella. Il cartello/ “Vendesi” attira il viandante/ che sogna una finestra sospesa/oltre il crepuscolo della modernità./ Una voce lo chiama da sotto/ l’asfalto: “Io sono stato prato, voi/ preparatevi a diventarlo””


Francesco Osti, invece,  nasce a Morbegno (Sondrio) nel 1976, qui vive e lavora.
Suoi testi sono apparsi su alcune riviste ed antologie fra cui Nuovissima poesia italiana (Mondadori, 2004), testi poi raccolti nel suo primo libro di prose poetiche intitolato Errori di sintassi edito nel 2005 da Lietocolle, e Almanacco dello Specchio (Mondadori, 2007) i cui testi sono confluiti in Itinerari stampato nel 2010 dall'editore Stampa2009. Nel 2011 è uscita per l'editore salernitano L'arca Felice la plaquette dal titolo Viale Orobie. Nel luglio 2007 è stato fra i finalisti del premio “Cetona Verde Poesia”.
La poesia di Osti che abbiamo scelto è legata a quella bellissima cartolina che è Piacenza, piazzale della stazione:
Abbiamo seguito da una radio transistor/ la cronaca dell’arcobaleno sparito/ sulla pianura: c’è stato chi ha enunciato/ la sequenza dei colori come in un gioco/ di memoria, invertiti per sfidare la cameriera/ che rideva/ chi li ha sfumati attraverso/ il bicchiere di vino. Qualcuno/ che mi somiglia ha ripulito il piatto con/ il cucchiaio e poi ha mosso il tacco appena/ pronunciato sul pavimento duro:/ a bruciapelo mi sono visto riflesso in/ uno specchio a muro scambiandomi per/ un conoscente, la mia mano chiusa mi/ ha sorpreso per tutta la forma caricata/ senza sostanza… Adesso è tutto un passato/ storico, c’è una grande quiete che/ abbraccia: un treno aspetta fuori stazione/ il momento buono per passare …”
Nel mondo antico il cuore era l’organo della percezione e direttamente connesso, tramite i sensi, alle percezione delle cose. Ne La città visibile percezione, sensazione e immaginazione attraversano lo sguardo per legarsi alla parola. Quello che ne verrà fuori sarà tutto da scoprire dopo ogni personale lettura.





domenica 8 novembre 2015

Sebastiano Gatto





Sebastiano Gatto ovvero la capacità di affrontare poeticamente i temi difficili
di Bonifacio Vincenzi


Quando il 3 agosto del 1914 la Germania dichiara guerra alla Francia, innescando in pratica gli avvenimenti drammatici e sanguinosi della prima guerra mondiale, l’antropologo francese Robert Hertz non godeva ancora di quella fama che dopo la sua morte avrebbe avuto e che lo avrebbe poi  collocato tra i grandi “classici” come Durkheim e Mauss, tanto per fare dei nomi.

Robert Hertz, insieme a molti altri esponenti dell’intelligencija francesce, non si era tirato indietro e si era arruolato per difendere il confine francese dall’attacco dei tedeschi, per poi cadere al fronte all’età di 33 anni, durante “l’inutile e assurdo attacco di  Marcheville: trecento metri di pianura allo scoperto, sotto il fuoco di ben appostati mitraglieri tedeschi, il 13 aprile 1915.”

Ora, qualcuno potrebbe chiedersi, cosa c’entra  Robert Hertz con l’utimo libro di poesia del veneziano Sebastiano Gatto, Voci dal fondo (LietoColle),  una raccolta di poesie inserita nella prestigiosa collana Gialla, diretta da Augusto Pivanti?
Qualcosa c’entra. Robert Hertz ha scritto quello straordinario saggio che è Etude sur la représentation collective de la mort dove dimostra come nelle società primitive l’evento morte venga avvertito come scandalo, disordine, contagio e di come per l’insieme sociale tutto questo rappresenti un rischio perché mette l’individuo non solo di fronte alla sua vulnerabilità e precarietà ma anche alla certezza che l’evento prima o poi riguarderà anche lui.

Che il primitivo sia latente in ognuno di noi è più che noto e si manifesta in alcune reazioni che in poesia Gatto ha colto molto bene; reazioni che oltre alla morte comprendono anche la malattia che generalmente precede l’evento morte e il lutto che è la conseguenza dell’evento.

Prendiamo la poesia “Cioccolatini” inserita nella prima parte del libro e che Gatto ha intitolato Corsie e dove affronta con gran parte delle sue possibili variazioni il tema della malattia:

(…)In pochi accettano i cioccolatini
offerti dai malati:
appena appoggiati sul comodino
si infettano (…)


Questa reazione ben colta da Sebastiano Gatto è quella tipica della paura primitiva che ancora sopravvive nell’individuo e che vede il binomio malattia-morte estremamente contagioso.
La poesia “Al paese di mia madre” inserita nella seconda parte del libro intitolata, appunto, Mia madre, recita così:

Quando c’è un lutto,
in casa del morto si appresta
un banchetto e si apre la porta
al viavai dei saluti.

Il terzo giorno il corteo dei parenti
scavalca per lo meno venti ponti
sui quali il prete poggia
un pane intrecciato e dell’acqua.

È il numero di ponti a stabilire
se facile sarà – per il defunto –
emigrare, da dove è sempre stato,
all’aldilà.

Questa tradizione espressa poeticamente da Sebastiano Gatto riguarda una specie di periodo di tirocinio che l’anima del defunto deve compiere prima di allontanarsi definitivamente dal suo corpo e dal luogo dove è sempre stato. Anche questo con le diverse sfaccettature è stato affrontato da Robert Hertz nel suo saggio antropologico e sociologico sulla morte.


Concludendo bisogna dare merito a Sebastiano Gatto per aver affrontato  temi così difficili come la malattia, la morte e il lutto cogliendone gli aspetti più reconditi ed esprimendoli con intensità e capacità poetiche non comuni.

Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina libro; 2. Robert Hertz; 3. Sebastiano Gatto

sabato 10 ottobre 2015

Franco Liguori


Franco Liguori:
Cariati, la formidabile rocca dei Ruffo e degli Spinelli
di Bonifacio Vincenzi


“Scopo di questo “libro- guida” è quello di far conoscere ai turisti che ogni anno, sempre più numerosi, visitano la nostra cittadina, ma anche agli stessi cariatesi, sia quelli residenti nel comune, sia i tanti altri che vivono fuori per motivi di lavoro, il patrimonio archeologico e storico-artistico di Cariati, finora illustrato e descritto in articoli e saggi sparsi qua e là in giornali e riviste o in sintetici opuscoli e brochures a carattere turistico-culturale, ma mai esposto in una specifica pubblicazione.”

Così Franco Linguori nella puntuale nota introduttiva del suo libro Cariati, la formidabile rocca dei Ruffo e degli Spinelli (Karyàtis, 2013) spiega lo scopo di questo suo prezioso lavoro premiato, tra l’altro, recentemente alla quinta edizione del Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata.

Il volume ha una struttura armonica articolata in cinque capitoli, in modo da fornire ai lettori una visione ampia non solo dei beni archeologici e storico-artistici di Cariati, ma anche delle sue principali vicende storiche che secolo dopo secolo hanno caratterizzato quella che è l’attuale anima di questa cittadina calabrese.

I primi quattro capitoli affrontano la realtà storica di Cariati, il suo passato prestigioso sotto la signoria prima dei Ruffo nel XV secolo, successivamente degli Spinelli nel XVI secolo.


Liguori, da storico serio e scrupoloso qual è, quindi, ci parla di questa suggestiva cittadina, della sua posizione geografica, del nome, degli aspetti archeologici, per poi soffermarsi nei lineamenti storici, dal Medio Evo ai giorni nostri; senza tralasciare il patrimonio storico- architettonico e quello chiesastico.

Per me che mi occupo di letteratura non posso non ammettere di essere stato letteralmente affascinato dal quinto capitolo di questa interessante pubblicazione di Liguori: “Cariati nella Letteratura di viaggio e nella pubblicistica turistico-culturale”.

“Nella seconda metà del XVIII secolo – scrive Franco Liguori nel quinto capitolo – col mutare, su scala internazionale, delle condizioni socio-culturali, si cominciò ad avvertire, prepotente, in tutta la cultura europea, il fascino del Sud e della Calabria in particolare, a quell’epoca ancora selvaggia e misteriosa. Una folta schiera di viaggiatori stranieri, quasi sempre giovani aristocratici desiderosi di completare la loro formazione, esponenti della nuova cultura europea, in cui L’Europa si riconosceva e si identificava, scese nelle regioni del nostro Mezzogiorno, e, molti di loro si diressero verso i nostri paesi di Calabria, visitandoli con grande curiosità ed interesse e lasciandone memorabili descrizioni nei loro diari di viaggio. Sono i cosiddetti Viaggiatori del Grand Tour che, giungendo in Calabria, si trovarono in una regione che li affascinò col suo cuore segreto di antica civiltà classica, nascosto sotto uno strato di rustica selvatichezza.”


Cariati, grazie alla sua felice e strategica posizione geografica molto spesso era inserita negli itinerari di questi viaggiatori. Johann Von Riedesel, Henry Swinburne, Jean Caude Richard, Richard Keppell Craven, sono solo alcuni dei tanti viaggiatori stranieri che sono stati affascinati da  questa cittadina calabrese.

Il libro  di Franco Liguori, corredato di un gran numero di foto a colori, merita di essere sicuramente  letto e conservato gelosamente nella personale biblioteca non solo dei cariatesi, ma anche di tutti coloro che amano la nostra Calabria.


Immagini in ordine di apparizione: 1.Copertina del libro, 2. Franco Liguori  3. Ritratto di Richard Keppell Craven

venerdì 25 settembre 2015

GIALLA









Gialla:
Un progetto importante di LietoColle e Pordenonelegge     

di Bonifacio Vincenzi



Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.”

Questa è una delle tanti frasi memorabili pronunciate dal professor John Keating ne L’attimo fuggente nella memorabile interpretazione di Robin Williams.






E ancora, sempre da L’attimo fuggente:

... Come ha detto Frost: "Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso."

Alla fine, però, quelli che sono diversi, quelli che hanno passioni sono persone semplici, non fanno solo proclami, non portano solo a passeggio il loro ego, ma creano costantemente, rendendo vivo ciò che sentono.

Mi ha molto colpito un’immagine colta dal sito di LietoColle: un albero possente pieni di frutti e i frutti sono i libri. Mi ha colpito perché ho sempre pensato che le cose importanti che la razza umana, nonostante ci sia un martellante tentativo occulto di rincretinirla completamente, riesce ancora a fare, sono un po’ come tante piantine piantate in un terreno fertile accudite giorno per giorno con amore, costanza, e senso di responsabilità. E queste piantine crescono fino a diventare alberi possenti. Fino a diventare punto di riferimento.



Penso a questi alberi quando penso al lavoro di LietoColle, quando penso a questa splendida realtà che è diventata Pordenonelegge.

E quando le anime di LietoColle e Pordenonelegge decidono di unirsi in un progetto dedicato esclusivamente alla Poesia e ai Giovani, bene, allora, bisogna accogliere tutto questo con entusiasmo ed emozione, anche esagerata, perché significa che per questa umanità tartassata e umiliata giorno dopo giorno, c’è ancora speranza.

Vasile Ghica ha scritto una cosa che mi spaventa tantissimo: “La più grande tragedia avrà inizio quando i giovani non vorranno più cambiare il mondo.”

Vogliamo forse negare che tutto questo  sta già accadendo?

Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso. In un mondo in cui impera la cultura della scorciatoia, del tutto e subito e ad ogni costo, questo pensiero di Frost perde inevitabilmente il suo fascino, la sua forza, il suo significato.


Ai giovani ormai si è tolto il futuro, loro lottano per sopravvivere e chi lotta per sopravvivere non ha più la forza per cambiare il mondo.

Ecco perché la Collana Gialla “èPoesia”, il nuovo progetto editoriale di pordenonelegge e Lieto Colle, assume un valore simbolico fortissimo.

Due strade – tracciate da molti anni di passione per la poesia – si incrociano e si uniscono in questa collana, per comporre le energie di più luoghi e diverse forme di comunicazione: LietoColle e pordenonelegge condividono lo scopo di scegliere, promuovere e diffondere l’opera di alcuni autori già conosciuti da chi segue la vicenda attuale della poesia, accompagnandoli nell’edizione di una loro prova significativa. LietoColle cura la proposta del libro nella sua forma canonica, mentre pordenonelegge cura la versione elettronica, con l’obiettivo di moltiplicare le occasioni di attenzione e di dialogo su quattro opere di poesia scelte, per ogni anno solare, tra le esperienze di rilievo di nuovi autori di interesse.




Così Michelangelo Camelliti (LietoColle) e Gian Mario Villalta (pordenonelegge) presentano ogni numero della collana gialla pordenonelegge.it. Collana che è  una splendida realtà avendo già accolto opere di poesia di giovani autori come Tommaso Di Dio, Clery Celeste, Giulio Viano, Giulia Rusconi, Sebastiano Gatto, Maddalena Lotter, Daniele Mencarelli, Greta Rosso.




Un altro dato significativo che vale la pena sottolineare è che il Progetto Gialla di LietoColle e Pordenonelegge è stato affidato ad Augusto Pivanti un uomo e un poeta che da anni lavora a stretto gomito con Michelangelo Camelliti e LietoColle. Pivanti non è certo uno che si danna l’anima per apparire eppure ha scritto una decina di raccolte di poesie ed ha un ruolo prezioso nella casa editrice di Camelliti. Un membro della razza umana, insomma, che assapora ogni giorno parole e linguaggio, nutrendosi di poesia, vivendo ciò che ama con passione e umiltà, doti, queste, assai rare.



Immagini in ordine di apparizione: 1. Immagine promozionale del Progetto gialla ,2. Una scena del film L’attimo fuggente  3. L’albero sul sito di LietoColle, 4. Gian Mario Villalta, 5. Michelangelo Camelliti in Calabria tra Bonifacio Vincenzi (a sinistra, di spalle) e Oreste Bellini, 6. Augusto Pivanti


martedì 15 settembre 2015

Antonella Monti








Antonella Monti:
autoritratto in versi
di Bonifacio Vincenzi


"Ciò che plasma la nostra vita  e la nostra natura – ha scritto Georg Groddeck -  non è solo il contenuto della coscienza, ma, in grado assai maggiore, il nostro inconscio. Fra la coscienza e l’inconscio c’è un setaccio, e sopra, nella coscienza, rimangono solo gli oggetti grossi, mentre la sabbia per il mortaio della vita  cade giù in profondità; sopra rimane solo la crusca, mentre la farina per il pane della vita, si raccoglie in basso, nell’inconscio.”

Leggendo la poesia di Antonella Monti in Miserere nostri (LietoColle) trovo che questa affermazione di GroddecK sia, per certi aspetti, molto vicina al ritratto  che in poesia la Monti abbozza di sé:

Sono diabolica, nera come la notte/ rossa come l’inferno, immensa come/ il pentimento fino alla volta del cielo.

In questi pochi versi c’è l’anima di una donna continuamente in lotta con se stessa dove, da una parte, c’è ciò che lei profondamente è, dall’altra, invece, ciò che lei fa, che quasi mai la rappresenta, almeno, non totalmente.
La sua sensibilità, poi, non le permette quella grande impostura necessaria per ben mascherare un ego instabile e limitato. Da qui la discesa in una sensazione di solitudine è inevitabile: “Solitudine, eterna compagna/ a volte in vacanza/ ma sempre col biglietto/ di ritorno in tasca. (…)



C’è un dato di fatto, però: la sua anima in versi piace. Perché piace? Conviene non rischiare di rispondere concretamente a questa domanda perché quest’anima in sé non è mai definibile se non in un sentire che predispone ad una sensazione, piacevole o spiacevole, quella stessa che, dalla carezza di uno sguardo, unisce la voce oscura e silenziosa dell’autrice alla nostra, per un incontro in profondità  più da vivere che da spiegare. E ciò che si vive sulla pagina con Antonella Monti è sicuramente piacevole.

Nella poesia, quindi, la Monti riconquista quella libertà che il mondo spesso le nega e la condivide con il lettore.
Grazie alla poesia un po’ di quella farina del pane della vita, di cui parlava Groddeck, risale sopra, e quella voce che ci parla da lontano arriva con semplicità e naturalezza creando una vicinanza intima, viva, intensa, vera …

Quanto si può essere trasparenti/ quanto trapela, quanto si resta straniti/ quando gli altri colgono/ le tempeste dell’animo./ E quando accade di essere acciuffati/ - così nudi e indifesi – ci si sente meno soli.”

Poesia di immagini, di toni, di sensazioni, di interiorità, di mistero questa di Antonella Monti, piena della sua profondità parlante, in cui cadere non è altro che aprirsi alla possibilità di rialzarsi mentre una grande verità risuona sulla pagina a dire che non c’è domani, se non in questo presente.